VOLONTARIA NELLA SELVA AMAZZONICA

Da anni io scrivo gli articoli in italiano e la professoressa Maribel Félix Rosell li traduce in spagnolo. Questa volta si invertono le parti perché lei ha fatto nell’Amazzonia del Perú un’esperienza tutta speciale che é bello conoscerla. Anche questo é Huacho, una cittá che comincia ad aprirsi con lo stile del volontario, uno che dá molto e riceve molto di piú. Leggiamo con calma, con il cuore aperto.


Mi decido a scrivere la mia esperienza in Amazzonia a richiesta di don Antonio Colombo, parroco della Cattedrale di Huacho, missionario Fidei donum di Milano. La mia Amazzonia si trova nella parte alta del Perú, al confine con l’Ecuador nel distritto di Andoas nella provincia Datem del Marañon, regione di Loreto.


Proprio come volontaria assisto alle riunioni di formazione a Lima, abitualmente nel mese di settembre, quando si decidono le destinazioni, i gruppi e le date del nostro servizio di volontariato che si svolge preferibilmente nel tempo delle vacanze estive (gennaio e febbraio in Perú), anche c’é chi ci va per un anno e anche di piú. A me piace soprattutto andare nella Missione salesiana alla frontiera con l’Ecuador.
Il padre salesiano Vicente Santilli, responsabile del gruppo dei volontari, ci convoca nella prima settimana di gennaio per alcuni giorni che sono di riflessione e di coordinamento delle varie attivitá che si realizzeranno nelle diverse comunitá dove andremo.


SI PARTE

Tutto é pronto per il nostro viaggio domenica 7 gennaio, siamo in 9, di cui 7 peruviani, un ecuadoriano, e un italiano. Si parte dall’aeroporto di Lima con destino a Tarapoto, un volo di due ore. Arriviamo alle 14, per continuare per tre ore in macchina su una strada che sembra quella di un serpente anaconda per le sue tante curve, fino a Yurimaguas, godendo della vista spettacolare delle cascate che sono impressionanti, anche da lontano.
Con tutto il gruppo dei nove volontari arriviamo al Vicariato Apostolico di Yurimaguas alle ore 19. Ci accoglie con gentilezza un signore vestido con una maglietta e in bermude, ci sembra sia il portinaio, gli chiediamo di poter incontrarci con il padre passionista Vicente Venegas. Con un grande sorriso ci dice: “Penso di essere io”. Tutti ci mettiamo a ridere nervosamente, ma poi, passato l’impasse, ci presentiamo. Ci stava aspettando, ci indica dove possiamo accomodarci, ci offre la cena, poi facciamo un girettto nei dintorni. Contenti di essere arrivati al nostro destino andiamo a dormire. Ci siamo sentiti ben accolti, in un clima di famiglia, soprattutto nelle ore dei pranzi, quando abbiamo la possibilitá di dialogare con sacerdoti che sono in maggioranza diocesani che lavorano in tutta la zona compresi due salesiani, padre Nelso Vera (con cui ho collaborato nella precedente esperienza) e padre Diego Clavijo.
Siamo rimasti nella casa del Vicariato per due giorni, avendo il tempo di conoscere la cittá, molto interesante con tutte le cartteristiche di un paese della selva ricco di colori. Ne approfittiamo per comperare bottiglie d’acqua, viveri, e il biglietto per il nostro viaggio con un battello fino a Andoas.

Il Vescovo Monsignor Jesús Maria Aristin - un passionista di origine spagnola, con un bel carattere da amico – desidera celebrare una Messa tutta per noi che siamo contenti e riconoscenti. La Messa é celebrata nella cappella del Vicariato, pioveva tanto forte che l’acqua entrava in chiesa, eravamo con i piedi bagnati e nello stesso tempo molto attenti a ció che diceva il Vescovo, le sue parole durante l’omilia ci furono di grande aiuto per il nostro viaggio: “Questa volta andrete senza un sacerdote, non potranno ricevere la Comunione per tutto il tempo e per questo dovete pregare molto per le vocazioni perché le comunitá si trovano senza pastori e voi ‘in carne propia=sulla vostra pelle’ sperimenterete la necessitá di un pastore per queste comunitá. Forza ragazzi, la nostra Mamma, la Madonna, vi accompagni.
Con un grande sorriso ci invió alla nostra missione con la benedizione del Signore.


SEI GIORNI SUL FIUME

Il lungo viaggio su tre fiumi inizió martedí 9 e terminó lunedí 15 gennaio. Sono una persona che é abituata a stare sempre in movimento e capiranno bene che é stata per me una grande sfida stare tanto tempo con 37 passeggeri in uno spazio di 50 metri quadrati, sopportare il fatto di essere chiusi dentro, circondata da ogni lato dall’acqua del fiume. Quando il battello si fermava in qualche villaggetto per raccogliere passeggeri o comperare il pesce io ne approfittavo per scendere a terra, muovere le gambe camminando e anche baciare il suolo dove mi trovavo, la terra!
Ho passato questi sei giorni alla prua con occhi fissi all’orizzonte; navighiamo sul fiume Huallaga, attraversiamo l’immenso fiume Marañon e poi chilometri e chilometri lungo il fiume Pastaza dove ci sono le comunitá affidate ai salesiani.
La cosa curiosa di questo viaggio é che abbiamo con noi polli vivi che ogni giorno dobbiamo portare alla mini cucina del battello dove la cuoca prepara il cibo. Con una campanella avvisano tutti che il cibo é pronto e dobbiamo andare con il nostro piatto a prenderlo. É tutta un’avventura curare l’igiene personale, lavare i vestiti, lavare i nostri piatti… Il problema maggiore si presentava per le donne per utilizzare un mini bagno in comune per lavarsi, era una acrobazia perché si doveva prendere l’acqua dal fiume, si dormiva nell’amaca, eravamo sempre piú numerosi, si dormiva praticamente appiccicati al vicino, come se si dormisse nello stesso letto, sperimentiamo il freddo della notte soprattutto quando pioveva molto, stando attenti che il nostro bagaglio non si inzupppasse. Furono giorni in cui si rafforzó l’amicizia tra tutti noi, soprattutto la nostra capacitá di affrontare le cose che ci mancavano, specialmente per chi come noi che venivamo dalla cittá, abituati alle comoditá.

HUAGRAMONA, LA PRIMA COMUNITÁ

Lunedí 15 gennaio arriviamo a Huagramona, la prima comunitá, sotto una forte pioggia, qui si ferma il primo gruppo composta da tre giovani e dalla sottoscritta come responsabile. Ci riceve l’animatore della comunitá Javier Cueva, mette tutto il nostro bagaglio su un carretto fino alla casa dove abiteremo, abbastanza vicino alla cappella che con mia sorpresa a differenza dell’ultima volta che l’avevo vista, é costruita in muratura e legname, sufficentemente grande per accogliere piú gente che quella precedente.
Camminiamo sotto la pioggia per 600 metri e da lontano riconosco la casetta di tre anni fa. Ci sistemiamo, cambiamo i vestiti inzuppati dalla pioggia e andiamo all’incontro con ‘el Apu’ cioé il capo della comunitá, Antonio Perez. Ci riceve calorosamente e ci chiede perché abbiamo ritardato tanto, lui ci stava aspettando da una settimana. Gli spiego delle difficoltá del nostro viaggio e lui commenta: “Qui si vive cosí, signorina!”
Il sabato seguente il capo ci presentó alla assemblea che settimanalmente si riunisce per organizzare le sue attivitá comunitarie (nessuno manca se no deve pagare una multa di 30 soles o fare un lavoro deciso dal comitato). Io ho parlato a nome del gruppo, ho spiegato ció che faremo, il tempo della nostra permanenza, presentando i volontari che mi accompagnano: Juan, Carlos e Jimmy. Sono convinta che nessuno abbia capito il mio messaggio perché subito dopo si alzó un rappresentante che parló in lingua ACHUAR spiegando ció che avevo detto. Allora sí vidi i volti contenti della gente; gli adulti hanno difficoltá nel capire lo spagnolo mentre i bambini sono bilingue, capiscono e parlano bene lo spagnolo. L’animatore Javier mi passó la lista dei bambini e dei ragazzi iscritti per il doposcuola, cosí da poter dare inizio al nostro lavoro il giorno successivo.

LA ETNIA ACHUAR

La comunitá nativa di Huagramona appartiene alla selva bassa dell’Amazzonia., ubicata a 210 metri sul livello del mare, con la popolazione che appartiene alla etnia achuar, anche se tra loro ci sono alcuni keciua. Si dedicano alla pesca e alla agricultura, vivono sulla sponda del fiume Pastaza, i campi sono peró lontani verso le montagne, coltivano la yuca, le banane e alcune verdure, la terra non é fertile per altri prodotti. Recentemente hanno imparato ad allevare polli e oche per variare la loro alimentazione, anche perché comperare un pollo dai barconi che transitano nella zona puó costare fino a 70 soles invece di 20 soles come in Lima.
Le stagioni dell’anno sono solo due, quella della pioggia e quella dell’estate, noi siamo arrivati nella prima. É una zona ricca di petrolio con l’impresa Pluspetrol che perlomeno ha aiutato con la installazione di un generatore elettrico. Peró per farlo funzionare tocca alla popolazione comperare il combustibile, ma non avendo soldi preferiscono restare senza luce, tanto per loro non é un problema l’oscuritá, sono abituati a convivere con il buio. Hanno un impianto per purificare l’acqua del fiume rendendola potabile; non esiste nessun segnale per il telefono.
Per ció che riguarda l’aspetto religioso alcuni mantengono i riti della propria cultura mentre un 50% sono evangelici – protestanti avendo sempre un pastore che guida la chiesa. Questo non succede con la Chiesa cattolica dal momento che per questa zona c’é solo il sacerdote salesiano padre Nelso Vera che deve visitare tutte le comunitá lungo il fiume Pastaza. Padre Diego Clavijo salesiano é incaricato della zona di Kuyuntza, che era l’area pastorale del padre Luigi Bolla, un grande missionario salesiano di Genova che ha fatto moltisimo per questa popolazione Achuar, vivendo secondo i loro costumi.

IN MEZZO A 22 BAMBINI

Martedí 16 gennaio iniziamo le nostre attivitá con i bambini che si avvicinano con un poco di timore. Arrivano alcuni che avevo conosciuto quando erano piccoli, ora sono grandi e accompagnano i loro fratelli perché i loro papá escono prestissimo al mattino per andare nei campi e ritornano molto tardi. Sono loro che, al riconoscermi, si avvicinano correndo, mi abbracciano e mi chiedono il perché non sia venuta anche gli altri anni. Abbiamo tante cose da raccontarci e per questo li invito a tornare alle tre del pomeriggio per aggiornarci e cosí é stato.
Dal momento che arrivarono poco a poco non abbiamo potuto fare la ceremonia di inizio con tutto il protocollo come si fa in cittá, si comincia direttamente seguendo la programmazione che avevamo preparato. Sono arrivati 22 bambini.
Dal lunedí al venerdí le nostre attivitá iniziano alle 8 con le classi di rafforzamento scolastico fino alle dodici e mezza. Nel pomeriggio, dalle 3 alle 5, facciamo l’oratorio, alle 6 recitiamo il Santo Rosario con i bambini per concludere con l’animatore per la celebrazione della parola di Dio. Al sabato facciamo attivitá sportive con i piccoli e con i grandi, mentre la domenica é dedicata a una passeggiata con i ragazzi.

Per conoscere il livello scolastico dei ragazzi abbiamo fatto un test, ci siamo resi conto del basso livello accademico che avevano. Cosí ristrutturiamo le classi per riuscire a dare un livello basico e elementare; nelle tre settimane della nostra permanenza mettiamo a fuoco le aree della matematica e della comunicazione e dedichiamo un giorno per la catechesi. L’animatore della comunitá ci riferisce che i maestri sono in maggioranza giovani che hanno finito la scuola secondaria, pochi sono quelli che hanno studiato per essere professori. Hanno il vantaggio di essere bilingue (achuar e spagnolo), sono stati scelti dalle autoritá del villaggio e possono muoversi con una o l’altra lingua.
Con tanta tristezza siamo andati via da quel villaggio senza vedere tanti frutti perché ció che si deve portare avanti tutto un anno é impossibile poterlo fare in tre settimane. Si é riusciti peró a migliorare la lettura, cosí che quasi tutti sono arrivati al livello della seconda elementare anche se in realtá frequentano la quinta. Per quelli della secondaria abbiamo incontrato la difficoltá nel socializzare, erano troppo timidi. Sanno leggere bene, ma poi non riescono a sviluppare il tema per cogliere i punti di vista principali con una buona capacitá per riflettere e dare un giudizio critico.

Gli incontri dei ragazzi nell’oratorio erano qualcosa di spettacolare con i giochi competitivi; alcuni pomeriggi ragazzi e ragazze giocavano a calcio o facevano gare di nuoto nel fiume, a questi incontri non mancava nessuno. Per la recita del Rosario invece venivano in pochi fino a quando si promise di regalare una corona a chi venisse tutti i giorni, per poi portarsela a casa a fine settimana. Con questa strategia molti impararono a recitare il Rosario, soprattutto impararono ad amare la Madonna Maria Ausiliatrice. Alla Celebrazione della Parola guidata dall’animatore quasi sempre partecipavamo solo noi volontari con qualche bambino; alla domenica venivano alcuni adulti.
Il sabato era il giorno dell’oratorio con bambini e adulti, se non dovevano andare a lavorare nel campo. La domenica, dopo la celebrazione della liturgia della Parola, visitiamo i dintorni accompagnati dai ragazzi: é bello addentrarsi nella selva amazzonica.

MOMENTI PERICOLOSI

Un fine di settimana il livello del fiume si era alzato moltissimo riversandosi sulle sponde. Quel giorno era in programma di conoscere il lato dove c’é un burrone, ma per la irresponsabilitá di uno dei volontari preferirono andare in canoa alla “cocha”, un luogo dove ci sono molti pesci e anche delfini. Si mise a piovere a dirotto e vidi che il fiume stava inondando tutto il camino tanto che quando Carlos tentó di entrare nella canoa, questa si rovesció. Vedendo ció io non mi sono decisa ad entrare nella canoa, lasciandoli partire con due canoe, erano 10 in tutto.
Io camminai fino a dove c’erano le casette, cominció una forte pioggia, una signora mi vide inzuppata d’acqua e con gesti mi offrí un rifugio, lei non parlava spagnolo e io non parlo achuar! Quando diminuí la intensitá della pioggia, ringrazio con un gesto la signora e mi incammino verso casa, mentre l’acqua stava crescendo molto di livello, in certi punti mi arrivava alle ginocchia. Avevo paura che la corrente mi trascinasse (non so nuotare), quando come per miracolo si presenta un bambino di circa 4 anni e mi domanda: “Che cosa fa qui, professora, dove va?” Gli chiedo se puó accompagnarmi a casa perché non riuscivo piú a trovare la strada. Con un dolce sorriso mi disse di sí e mi guidó per un’altra strada dove non c’era molta acqua. Camminiamo per circa 20 minuti, parlo con lui, gli chiedo il nome e mi risponde che si chiama Nene. Parliamo di molte cose, fino a quando mi accorgo di essere in una zona che conosco, arriviamo alla casa del bambino, sua mamma ci accoglie, guardo il piccolo e contenta del suo aiuto gli dico: “Ciao Nene, grazie”.

La mamma interviene e mi dice: “Non si chiama Nene ma NOÉ”. Con un grande sorriso ringrazio la signora e Noé il mio salvatore, e vado verso la mia casa pensando al grande Noé della Bibbia.
Passando davanti alla casa dell’animatore Javier, lui mi chiede dove sono i miei compagni e suo figlio. Gli dico che sono andati alla ‘cocha’. Lanció un grido al cielo, disse che era un luogo molto pericoloso, peggio ancora con quel tempaccio e subito partí per salvarli con la sua barca a motore. Erano veramente in pericolo, l’andata era facile perché si lasciavano trasportare dalla corrente, difficile era il ritorno perché dovevano remare controcorrente.

Il 31 gennaio é un giorno molto speciale per i salesiani, é la festa di don Bosco. Facciamo una pausa delle nostre attivitá e organizziamo uno speciale oratorio, una cosa stupenda. Con i mezzi a disposizione prepariamo un cartellone per animare questo giorno, giochiamo, preghiamo e insegniamo ai bambini la vita del Santo dei giovani. É stato un giorno meraviglioso.
Venerdí 2 febbraio realizziamo la chiusura del nostro programma, io presento all’assemblea dei genitori i nostri risultati, ci sono alcuni momento artistici preparati con i ragazzi, si premiano i migliori. Al momento finale del dolce, mi hanno proposto di fermarmi nella zona a lavorare, il capo-Apu mi dice che non mi mancherebbe niente. Nel profondo di me stessa mi dico: “Mi mancherebbero la mia famiglia, i miei amici, le mie comoditá, ecc.” “Ne parleremo dopo, in privato”.

La parte piú difficile della nostra permanenza é causata dai moscerini e dalle zanzare che hanno fatto festa con noi, nonostante i prodotti repellenti e il dormire sotto tende da campeggio. Che dire della visita notturna dei topi che passeggiavano per la casa sempre aperta, potevano entrare e uscire a piacimento? Una notte mentre dormivo tranquilla vengo svegliata da un rumore che viene dal tetto della mia tenda; non potevo credere che i topi la stavano usando come scivolo fino a quando uno di essi mi toccó il piede, mi sono messa a gridare forte forte tanto che vennero i miei compagni a spaventarli e scacciarli. Non sono piú riuscita a dormire per la paura che potessero ritornare a morsicarmi.
Jimmy e Juan furono quelli che soffrirono di piú, le punture delle zanzare furono terribili, ebbero la febbre della malaria, si infettarono le ferite perché si grattavano, li abbiamo curati con creme e antibiotici che ci forní l’animatore Javier.

Arrivó il sabato 3 febbraio, giorno della partenza per Andoas Vecchio. Mentre facciamo i bagagli i miei compagni si sorprendono perché non arrivano i bambini come tutti gli altri giorni portando della frutta, pesce fritto e soprattutto i loro stupendi sorrisi che ci danno forza, mai sono arrivati a mani vuote. Io capisco il loro atteggiamento perché anche a me non piacciono le partenze, é meglio dirsi un ciao a distanza; a mio parere i bambini stavano facevano lo stesso. I miei compagni non capirono questo e andarono a cercarli, ma poi fu piú doloroso per loro vedere le lacrime negli occhi dei bambini che non volevano uscire di casa per salutarli.
La canoa a motore ci aspettava, noi carichiamo tutto il bagaglio in silenzio, io vedevo i miei compagni con i volti e gli sguardi tristi. Abbiamo iniziato il viaggio alle 10, duró tre ore, mentre io continuavo a guardarli e mi animai a dire: “Dovete imparare che uno non si distacca dagli amici, dobbiamo solo dire che ci separiamo per un tempo e magari torneremo a incontrarli… se é la volontá di Dio… continuiamo il viaggio”. Dopo un’ora di silenzio ci mettiamo a conversare ricordando i momenti belli che abbiamo vissuto in quel posto.

LA MALARIA E LA MESSA

Arriviamo alla comunitá di Andoas Vecchio alle 13,30, qui non c’é nessuno a riceverci perché non ci speravano piú, pensavano che non saremmo venuti. Cosí con i nostri bagagli ci mettiamo in cammino verso la casa dei volontari, circa 500 metri sotto la pioggia. Arrivata, cerco l’animatore Jhon che aveva le chiavi della casa, al vederci fu molto contento e immediatamente si mise ad aiutarci nella sistemazione e a offrirci un pranzo a base di yuca e banane, come si usa da queste parti. Durante il pranzo Jhon mi passa la lista dei bambini iscritti per le classi per un totale di 30, ci presenta al capo-Apu Juan Cariajano che ci dá il benvenuto chiedendoci scusa per non essere stato attento al nostro arrivo. Dopo il pranzo ci mettiamo a organizzare il tutto per il lunedí.

É domenica, facciamo un giro per vedere il piccolo paese che ha le stesse caratteristiche della comunitá di Huagramona, con la differenza che hanno la luce per due ore alla notte perché l’impresa petrolifera fornisce il combustibile per il generatore. Le autoritá qui sono piú attive, hanno anche una Posta Medica che grazie a Dio ci fu di grande aiuto perché non sapevo che due dei miei compagni erano affetti da malaria, como si manifestó due giorni dopo i nostro arrivo con la febbre fino a 40 gradi. Dopo l’esame chiamato Gota Gruesa si scoprí che avevano contratto la malaria, inmediatamente l’infermiere inizió il trattamento adeguato, che era molto forte avendo come effetto secondario allucinazioni e vomito. Mi trasformai in infermiera del gruppo soprattutto nelle notti quando avevano allucinazioni. Siamo andati avanti nel nostro programma, anche questo fa parte dell’esperienza tanto piú che ci trovavamo in una zona altamente endémica. Con due in meno é stato un poco difficile continuare, ma ci siamo riusciti sia nella mattinata che nel pomeriggio.

Il sabato era dedicato al calcio e la domenica restiamo in casa per la paura di essere contagiati o di contagiare altri perché le zanzare era troppe, soprattutto c’erano moscerini molto piccoli che nel colpirti ti davano punzecchiature che potevano anche lacerarti la pelle.
Per un nuovo attacco di malaria di uno dei miei compagni infermi, abbiamo dovuto lasciare il paese alcuni giorni prima, per permettere che venga trattato nel Centro Medico che era vicino all’impresa petrolifera.
Mercoledí 14 facciamo la ceremonia conclusiva sottotono. Nel bel mezzo delle attivitá mi avvisano che c’é un uomo con la barba che vuole parlare con la responsabile. Io mi avvicino mentre lui mi dice che puó celebrare la Messa. Sorpresa e sospettosa gli chiedo chi sia e da dove venga. Si presenta come padre Alberto Niquen, salesiano destinato a questa zona perché padre Nelso Vera é dovuto andare per un anno in Paraguay per la formazione. Che gioia per me vedere un sacerdote in mezzo alla selva, cosí con piena fiducia gli dico: “Padre, oggi é mercoledí delle ceneri, certo che puó celebrare! Prepariamo subito la Cappellla, ma manca qualcosa di importante, la cenere!”
Il padre ci fece riunire alcune foglie secche che rimpiazzavano i rami della domenica delle Palme dello scorso anno. Qui raramente si celebra la Settimana santa. Si bruciano le foglie secche e si raccolgono le ceneri in un recipiente per portarle alla Cappella. La celebrazione fu molto istruttiva, nel momento della omilia il padre spiegó il vangelo soprattutto del tempo di quaresima che é una preparazione con preghiere, digiuno e buone opere per poter vivere bene la Settimana Santa, festa culmine per la nostra Chiesa.

Parteciparono le persone che stavano alla festa di chiusura, i bambini emozionati vedevano come si celebra, soprattutto il momento della consacrazione. Un bambino piccolo che era al mio fianco non riuscí a stare in silenzio e mi chiese: “É questo il momento quando Gesú (Jesusito) scende dal cielo?” “Sí, gli dico, sta molto attento perché in questo momento Gesú é nel piccolo pane e poi vuole entrare nel tuo cuore”. Lo sguardo che mi rivolse fu cosí celestiale che chiesi a Gesú che mi doni la semplicitá dei bambini per poterlo vedere. Nel momento della Comunione il bambino si avvicinó con tanta devozione che io ho potuto imitare il suo atteggiamento e pregare per i bambini del mondo perché Dio li protegga sempre e li allontani dal male.
Finita la Messa il padre mi disse che desiderava conoscere le autoritá del posto e cosí spiegare un poco il lavoro pastorale che potrá sviluppare quest’anno prima del ritorno di padre Nelso. Si conclude tutto con un pranzo.

LA VIA DEL RITORNO

La partenza é fissata per giovedí 15 febbraio. Tutti ci affrettiamo a preparare i bagagli che furono portati alla canoa da alcuni giovani. Arriva l’ora dei saluti, qui i piccoli non si sono nascosti ma hanno camminato in silenzio al nostro fianco fino al piccolo porto. Non c’era il cinguettio dei bambini e nonostante fossero vicini a noi mi davano l’impressione di trovarmi tra quelli che accompagnano un amico che giá é passato a “una vita migliore”, aria da funerale.
Entriamo nella canoa senza dire una parola, solo alzando le mani per dire addio, i bambini fecero lo stesso. Il viaggio alla Nuova Andoas duró due ore con l’accompagnamento della pioggia. Giunti alla zona dei Giardini sbarchiamo e aspettiamo una mototaxi per portare tutti i nostri bagagli con un viaggio che dura 30 minuti. All’arrivo ci aspettava l’altro gruppo dei volontari salesiani, con loro andiamo alla casa vicino alla Cappella e poi al Centro di Salute per fare un esame a Jimmy. Con la diagnosi di una malaria acuta, gli danno un trattamento piú aggressivo, lo mettono in isolamento per evitare il contagio dato che anche in questo paese le zanzare abbondano.
Il paese di Nuevo Andoas é costruito vicino all’impresa petrolífera, la maggioranza dei suoi abitanti lavorano lí come operai, hanno i servizi basici di luce, acqua e fognatura, anche il segnale telefonico peró senza internet. Hanno negozi di vendita all’ingrosso che riforniscono tutte le altre comunitá che di tanto in tanto vengono qui per fare i loro acquisti fondamentali.

Chi di noi si trova in buona salute dá una mano ai volontari per concludere le attivitá in questo paese. Il punto finale delle vacanze é mercoledí 20 febbraio.
Il ritorno a Lima fu mercoledí 21 febbraio, in due gruppi, a me toccó il primo volo. All’aeroporto l’ora del volo é fissato per le 17, noi arriviamo alle 15, peró per il mal tempo si ritarda la partenza fino alle ore 21. É la prima volta che viaggio di notte, arrivo a Lima e guardo dall’alto le luci gialle che nella oscuritá mi sembrano come un prezioso mantello nero ricamato con tanti fili d’oro, un quadro splendido. Arriviamo a Lima dopo la mezzanotte, io vado alla Casita d’accoglienza di don Bosco dove mi aspettavano con un delizioso caffé. Nonostante fosse notte avanzata i giovani erano ancora svegli per chiedermi notizie sul viaggio. “Con piacere vi racconteró tutto domani mattina a colazione, perché adesso padre Riccardo potrebbe arrabbiarsi nel vedere che siete fuori delle vostri stanze a quest’ora”. Cosí ci siamo messi d’accordo e cosí fu fatto.

NEL CUORE

É incredibile vedere che chi ha poco puó darti tanto, arricchire la tua vita con dettagli che restano stampati nel cuore, insegnandoti che nonostante la povertá materiale, quella che conta é la ricchezza dell’anima. L’allegria é la forza piú grande nella vita di ciascuno di noi. Facciamo in modo che le cose ordinarie si trasformino in straordinarie.

Tanti saluti ai lettori di questa web:www.padreantoniocolombo.pe

Prof. Maribel Félix Rosell

Huacho 12 marzo 2018